Nel novembre del 2022, l’Italia arriva dritta dritta agli European Diversity Awards. Ciò è stato possibile grazie al progetto Color Carne, di cui Giuditta Rossi e Cristina Maurelli sono le madrine.
Gli European Diversity Awards danno spazio alle campagne pubblicitarie che hanno riscosso successo, divulgando iniziative che hanno attivato un meccanismo virtuoso e concreto di cambiamento, a favore di una maggiore inclusività.
Color Carne è un’iniziativa italiana, entrata nella shortlist degli European Diversity Awards, che hanno assegnato i premi in data 11 novembre.
Il progetto Color Carne
Color Carne è un progetto che Giuditta Rossi e Cristina Maurelli hanno avviato per promuovere una rivoluzione concettuale, ma sostanziale, attorno all’espressione “color carne”.
Infatti, per buona parte di noi, soprattutto in Occidente, il color carne è il colore della pelle caucasica: un rosa/beige chiaro. Di conseguenza, tutti i capi d’abbigliamento realizzati nelle tonalità di beige e rosa “carne” sono considerati indumenti a effetto nudo.
Ma la pelle umana non è solo rosa/beige. L’espressione “color carne”, rimandando esclusivamente al colore della pelle caucasica, esclude tutti gli altri toni di carnagione, in particolare quelle più scure o più chiare.
La campagna di advocacy portata avanti dal progetto diffonde il messaggio che “color carne non è solo un colore”.
Prima di tutto, a recepire il senso della campagna sono state le redazioni dei maggiori dizionari della lingua italiana: Garzanti ha fatto da apripista, sono seguiti Devoto-Oli, De Mauro, Zingarelli-Zanichelli e Treccani, così come ha riportato Giuditta Rossi sull’account Instagram del progetto.
Chiaro, scopo del progetto non è solo fermarsi a cambiare le definizioni da vocabolario. A cambiare deve essere una mentalità e, di conseguenza, anche le scelte dei brand.
L’inclusività dei brand italiani
Quando si parla di inclusività, bisogna riferirsi a tanti aspetti della realtà che viviamo in questo momento storico. Essere inclusivi significa comprendere tutti: di qualsiasi genere, etnia e provenienza, ma anche stile di vita e forma fisica.
In linea di principio, i marchi dovrebbero rivolgersi a persone alte, basse, magre, in soprappeso, caucasiche, africane, su sedia a rotelle, maschi, femmine, transgender e persone fluide.
Volendo seguire la logica del progetto Color Carne, concentriamoci sull’inclusività etnica che si palesa (o forse no) soprattutto negli ambiti del fashion e del beauty.
I brand italiani che hanno tenuto conto di tutti i colori della pelle sono stati quelli del settore beauty. Sono marchi che si sono inseriti da poco sul mercato e sono nati per rivolgersi per lo più a un pubblico giovane, più sensibile a specifiche tematiche (inclusività, sostenibilità)
Possiamo citare almeno tre realtà italiane, molto note e seguite su Instagram: Neve Cosmetics, Mulac e Nabla. Ben prima che diffondesse il progetto Color Carne, le tre aziende hanno tratto ispirazione da grandi marchi internazionali (come MAC Cosmetics, ad esempio) e hanno proposto al pubblico prodotti dalle nuance adatte a diverse carnagioni, mostrandone la resa su pelle – i cosiddetti swatch.
Bisogna tenere conto del fatto che a partire da YouTube si è espanso il fenomeno dei beauty influencer, in seguito approdati anche su Instagram e TikTok.
Tra questi, molti hanno sottolineato in più occasioni quanto i prodotti delle case cosmetiche fossero, spesso, assolutamente inadatti a chi possiede una carnagione molto chiara o molto scura. Una voce che si distingue proprio per questa attenzione all’adattabilità dei cosmetici alla carnagione scura, ad esempio, è quella di Grace On Your Dash.
Non c’è da stupirsi, quindi, che i nuovi brand di makeup si siano fatti “furbi” e abbiano scelto di accattivarsi le simpatie di tutti coloro che non possono usare prodotti poco affini al proprio tono di pelle.
In ambito moda le cose vanno un po’ peggio. Per ovvie ragioni, per restare nel tema “color carne”, dobbiamo riferirci a chi fa intimo di base. Del resto, tutto è partito da quel “nude” color rosa/beige che può accontentare solo le persone caucasiche.
Un caso virtuoso è quello di Intimissimi, che sostituisce le espressioni incriminate con la più inclusiva “slip invisibile”. Propone al pubblico intimo di base in microfibra dai colori più disparati, abbracciando così anche i segmenti di pubblico dalla carnagione chiarissima o molto scura.
C’è di sicuro tanto ancora da fare. Cambiare le definizioni da dizionario è il primo passo. Il passo successivo è ideare prodotti adatti a tutti, promossi grazie a una comunicazione più inclusiva nelle immagini e nei testi.